La risarcibilità dei danni derivanti da illegittimo trattamento dei dati personali

Con sentenza n. 15240, depositata agli inizi del mese di luglio, la Corte di Cassazione ha fornito il proprio contributo ermeneutico circa l’obbligo di risarcimento conseguente alla violazione della normativa derivante da un illegittimo trattamento dei dati personali.

I giudici della Suprema Corte, pur confermando in capo all’autore dell’illecito la responsabilità ex art. 2043 c.c., hanno precisato che sussiste l’onere – a carico del soggetto interessato – di provare il danno effettivamente subito.

Nel caso di specie, un assistente di polizia giudiziaria aveva adito il Tribunale di Bologna – con ricorso ex art. 152 del D.Lgs. n. 196/2003 – affinché fosse accertata la responsabilità del Ministero della Giustizia a seguito di illegittimo trattamento dei propri dati sanitari.

Il Ministero infatti, in violazione dell’art. 20 del D.Lgs. 196/2003, aveva iniziato il trattamento dei dati sanitari dell’interessato, senza previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali.

Il Tribunale di primo grado, accertata l’illegittimità della condotta della convenuta, aveva tuttavia rigettato la domanda di risarcimento dei danni azionata dal ricorrente, in quanto quest’ultimo non aveva fornito alcuna prova del danno concretamente subito.

Tale principio è stato riaffermato anche in sede di impugnazione davanti alla Corte di Cassazione, la quale, richiamando una precedente giurisprudenza (Cass. 25.03.2003, n. 4366), ha precisato che “la lesione (del diritto alla riservatezza) determina un illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., al quale, tuttavia, non consegue un’automatica risarcibilità, dovendo il pregiudizio morale o patrimoniale essere comunque provato secondo le regole ordinarie, quale ne sia l’entità ed a prescindere anche dalla difficoltà della relativa prova”.

Trattasi infatti, di un danno-conseguenza e non di un danno-evento.

Infine, sempre secondo la Corte, “Non potrebbe giungersi a diversa conclusione neppure se si identificasse il danno in questione in termini di danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti, poiché la fondamentale sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 … nell’ammettere la risarcibilità della lesione di siffatti diritti e nel tracciarne rigorosamente i confini, ha contestualmente riconosciuto che l’esistenza del relativo danno deve comunque essere provata dal danneggiato”.

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