Responsabilità degli internet service provider sui contenuti pubblicati da terzi: il caso Mosley

Il 6 novembre 2013, il Tribunal de Grande Instance di Parigi ha ordinato a Google di bloccare, tra i risultati del suo motore di ricerca, 9 foto che ritraevano l’ex Presidente della FIA Max Mosley, intento in pratiche orgiastiche e sadomaso con alcune donne e diffuse nel 2008 dal defunto magazine inglese News of the World(TGI Paris, 17e ch., 6 novembre 2013, RG 11/07970, Max Mosley c. Google Inc et Google France).

Le immagini erano state già al centro di una sentenza del Tribunale di Londra che aveva condannato il tabloid britannico ad un risarcimento di 92.000 dollari per violazione della privacy.

La Corte francese ha imposto a Google la rimozione delle immagini entro due mesi dalla sentenza e l’obbligo di sorveglianza su eventuali nuove pubblicazioni per i prossimi cinque anni, stabilendo una sanzione di mille euro per ogni mancata applicazione constatata.

Google è stata inoltre condannata al risarcimento simbolico di un euro per Mosley e al pagamento delle spese legali.

La decisione è particolarmente significativa: da un lato, la corte francese riconosce espressamente il diritto all’oblio di Mr. Mosley, dall’altro, pone a carico del motore di ricerca un preciso onere di filtro e controllo preventivo rispetto al possibile verificarsi di ulteriori violazioni. La Corte francese pertanto, non solo risolve il bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto all’informazione, nella direzione della prevalenza del primo, ma pare altresì porsi in aperto contrasto con il dettato dell’art. 15 della Direttiva 31/2000/CE sul commercio elettronico che esclude che il prestatore di servizi, tra cui anche il c.d. “caching provider” (categoria alla quale vengono tradizionalmente ricondotti anche i motori di ricerca) sia soggetto ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza o di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite (cfr. in particolare Corte di Giustizia CE C-70/10 Sabam c. Scarlet e C-360/10 Sabam c. Netlog, che ha escluso la possibilità di imporre ai provider sistemi di filtraggio).

Per meglio apprezzare la portata della sentenza, sarà in realtà necessario attendere la pronuncia della Corte di Giustizia CE nel caso Google Spain Sl e Google Inc. c. Agencia Espanola Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González (C-131/12). Nell’occasione, infatti, la Corte sarà chiamata a prendere posizione sulla questione se si debba ritenere che i diritti di cancellazione e congelamento dei dati e il diritto di opposizione al loro trattamento, disciplinati dagli artt. 12, lett. b) e 14, lett. a) della Direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati personali, implichino che l’interessato possa rivolgersi ai motori di ricerca per impedire l’indicizzazione delle informazioni riguardanti la sua persona, pubblicate sulla pagina web di terzi.

L’Avvocato Generale Niilo Jääskinen, nelle sue conclusioni del 25 giugno scorso, ha ritenuto che “il fornitore di servizi di motore di ricerca su Internet non può essere considerato «responsabile del trattamento» di tali dati personali ai sensi dell’articolo 2, lett. d), della Direttiva ”, con la conseguenza che la normativa comunitaria non consentirebbe alla persona interessata di rivolgersi essa stessa ad un fornitore di servizi di motore di ricerca per far valere la sua volontà che tali informazioni non giungano a conoscenza degli utenti di Internet.

Qualora la Corte con sede a Lussemburgo decidesse di aderire a questa impostazione, la pronuncia in commento, con buona pace di Mosley, potrebbe limitarsi a costituire un precedente isolato.

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