Registrazione marchi in USA: due casi a confronto

Le scorse settimane lo United States Patent and Trademark Office (USPTO) è salito alla ribalta delle cronache per due richieste di registrazione di marchio, promosse da aziende leader del settore digitale.

Da un lato King.com, società editrice del gioco di fama mondiale “Candy Crush Saga”, ha chiesto – ed ottenuto – la registrazione come marchio della parola “Candy”, nei settori giochi e software.

Dall’altro lato invece Google, attraverso i suoi legali, con una memoria di ben 1928 pagine sta  tentando di sostenere e controbattere il rifiuto della propria domanda di registrazione del termine “Glass”: da tempo, infatti, il colosso di Mountain View pubblicizza la sua ultima invenzione, denominata “Google Glass”.

Proviamo a comprendere quali sono le ragioni che hanno determinato esiti così diversi, a partire da richieste invece assai simili.

La disciplina federale statunitense in materia di registrazione marchi, contenuta nel Lahham Act (§ 15 U.S. Code) richiede quale presupposto per la registrazione, oltre all’uso nel commercio (§ 1051) anche la capacità distintiva (§ 1052). Tale ultimo aspetto concerne l’attitudine del marchio ad individuare l’origine del prodotto o servizio al quale si riferisce, rispetto all’origine degli altri prodotti o servizi presenti sul mercato.

Ora, da un lato lo USPTO ha sostenuto che il termine “Candy”, impiegato nei settori merceologici dei software e videogiochi, è caratterizzato da una forte capacità distintiva; la sua natura del tutto svincolata dai beni che identifica, infatti, lo renderebbe un marchio forte (si pensi ad esempio ad un altro celebre marchio di tale tipo: “Apple”).

Per quanto riguarda invece la registrazione della parola “Glass”, lo USPTO ha al contrario motivato il proprio rifiuto sulla base di due considerazioni.

In primo luogo, nei settori merceologici indicati da Google per la registrazione esisterebbero già numerosi marchi contenenti il termine in parola (ad esempio, “GLASS3D”, “Teleglass”, ecc.), cosa che potrebbe ingenerare confusione nel consumatore (la c.d. “likely of confusion” di cui al § 1052, lett. d).

Non solo, tra le varie ipotesi previste dalla legge, che escludono la capacità distintiva del marchio, vi rientra anche l’utilizzo di una parola che sia meramente descrittiva del prodotto che rappresenta (§ 1052, lett. e): nel caso di specie, in effetti, non è stata accolta la richiesta di registrazione del marchio “Glass” proprio in riferimento ad un prodotto che parrebbe (ma Google sostiene il contrario) composto in parte anche da vetro.

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