Net neutrality: negli USA non è più una priorità (forse)

E’ rimbalzata nei giorni scorsi su numerosi media, sia digitali che tradizionali, la notizia della sentenza emessa dal Tribunale di Washington, D.C. (per la precisione, dalla US Court of Appeals) nella causa tra Verizon, uno dei principali carrier americani, e Netflix, ormai gigante dello streaming “lecito” di contenuti multimediali, in procinto di sbarcare anche nel nostro paese.

Tema della controversia: la cosiddetta “net neutrality“, ovvero neutralità della rete (e dell’accesso ad essa), punto fermo dell’agenda presidenziale che Barack Obama aveva diffuso durante il suo mandato, all’interno della propria Agenda Digitale. Sulla base di tale rilevantissimo input e supporto, infatti, la Federal Communications Commission (FCC) aveva emanato, nel 2010, un pacchetto di norme rivolte a regolare l’accesso alla rete, la distribuzione delle risorse e (soprattutto) i costi connessi.

In sostanza, con la sentenza in oggetto gli operatori potrebbero presentare conti diversi (ed assai più salati) a quei player – in particolare, YouTube e Netflix, appunto – che letteralmente “divorano” la banda internet, richiedendo per usufruire dei propri servizi grandi quantità di dati e imponendo flussi che divengono, con la sempre maggiore diffusione di devices mobili, assai complessi da gestire.

In ogni caso, al momento la FCC sta valutando, per bocca del proprio chairman Tom Wheeler, “tutte le possibili opzioni per garantire che internet resti libero e aperto per l’innovazione e l’espressione” (incluso il ricorso, in ultima istanza, alla Corte Suprema).

Echi della decisione si sono fatti sentire anche nel Vecchio Continente, la cui Commissione Europea – direttamente tramite l’account Twitter del commissario Neelie Kroes – ha garantito che nei pacchetti di norme allo studio la net neutrality rimarrà presupposto inderogabile a garanzia di un internet aperto e senza restrizioni.

La decisione può essere consultata nella sua interezza qui.

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