La sentenza Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. v. Goldsmith del 2023 ha attirato l’attenzione del pubblico per la sua portata innovativa e per le potenziali conseguenza nel mondo dell’arte. In particolare, in tale sede la Suprema Corte ha elaborato la nozione di fair use, ossia quelle condizioni al verificarsi delle quali l’utilizzo di un’opera coperta dal diritto d’autore è consentita.

Nell’applicazione del fair use, la giurisprudenza statunitense ha fatto riferimento a quattro fattori principali:

  • il tipo di utilizzo e la finalità dello stesso;
  • la natura dell’opera;
  • la rilevanza della porzione utilizzata rispetto all’intera opera;
  • l’effetto dell’utilizzo sul mercato e il valore dell’opera.

La portata innovativa della sentenza cd. Warhol si apprezza con riguardo al primo dei menzionati criteri, considerando che i giudici della Corte Suprema hanno richiesto che l’opera sia sufficientemente rielaborata e che, quindi, acquisisca nuovi significati o rivesta una nuova espressione affinché il suo utilizzo possa rientrare nel concetto di fair use.

Solo di recente, in un giudizio che vedeva Jeffrey Sedlik, autore di una celebre fotografia che ritrae Miles Davis, contro Kat Von D, una tatuatrice di Los Angeles che aveva realizzato un tatoo ispirandosi a quell’immagine, si è assistito alla prima applicazione dell’orientamento sopra descritto. La giuria, chiamata a decidere, ha infatti affermato che la rielaborazione di Kat Von D fosse sufficientemente distante e dissimile rispetto alla fotografia, cosicché il tatoo non potesse essere considerato in violazione del copyright.

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